Trovo divertente un dibattito sui giovani in televisione. Perché i giovani la televisione non la guardano più. O meglio: ne fruiscono in maniera sostanzialmente diversa rispetto a quanto le vecchie generazioni sono abituate. Mi è capitato per puro caso di seguire il confronto a DiMartedì fra Gianluigi Nuzzi, giornalista di Libero, ed Elsa Fornero. Contestualizzando, l’ex Ministro Fornero stava impostando un ragionamento sui giovani, il lavoro e le pensioni: «Il sistema pensionistico non sarà generoso con i giovani soltanto se i giovani non avranno un lavoro». In quel momento il giornalista decide di interrompere il flusso del discorso, come nella pessima abitudine tutta italiana, mandando in vacca ogni possibilità di confronto: «Lei conosce Cicciogamer? [uno youtuber che si filma mentre gioca ai videogiochi, nda]»

Insomma, Nuzzi aggredisce l’ex ministro Fornero non argomentando, ma sottintendendo una sua poca credibilità perché «non conosce Cicciogamer». Purtroppo lo scrittore di Vaticano S.p.A. dimostra una discreta ignoranza sull’argomento, se non peggio malafede. Il target dei video dello youtuber Cicciogamer è di ragazzi preadolescenti e adolescenti. I giovani hanno non più di sedici anni, secondo il giornalista di Libero. Tuttavia la ex ministra stava parlando di coloro che hanno finito il percorso di studi: giovanissimi di diciotto, venti, venticinque anni, che cominciano ad interfacciarsi con il mondo del lavoro.

Mentre qualcuno propone di allargare il diritto di voto ai sedicenni (forse proprio perché è la soglia oltre la quale non si è più giovani), nel nostro Paese i giovani non hanno rappresentanza né in Parlamento né nei discorsi pubblici, e vengono categorizzati fra coloro che fanno cose strane: guardano video su youtube, giocano ai videogiochi, si disinteressano della cosa pubblica. Ed è una retorica che francamente mi ha stancato.

I giovani adulti hanno così trovato rappresentanza in altri circoli. Sono figli della globalizzazione delle comunicazioni, e ad un dibattito pubblico pregno di retorica e sovranismi, di confini e indipendentismi inutili, hanno abbracciato un movimento globale, che travalica i confini dello Stato: il Friday For Future e le proteste di Greta Thunberg. Decine di centinaia di migliaia di giovani in piazza, in Italia e in tutto il mondo, a dimostrazione che l’interesse per la vita pubblica c’è, solo non si limita alle beghe fra Renzi e Salvini. Anche qui, le vecchie generazioni non capiscono, sono spaventate e accusano con argomentazioni stupide come: «Dovrebbero prima mettere a posto la propria camera». 

Friday For Future
Giovani in piazza per il Friday For Future. Fonte: Repubblica.it

La giovinezza è il momento della vita nel quale si esce dal guscio della famiglia e ci si interessa al mondo esterno, alla scoperte di esso e di se stessi per trovare la propria strada nel mondo. E con i ragazzi basta parlare per cogliere il senso di frustrazione percepito. Una frustrazione che accresce per vari motivi: l’incomunicabilità con le vecchie generazioni, le prospettive future che sono opache come mai.

Decenni di politiche a debito, ultime delle quali il Reddito di Cittadinanza e Quota 100, gravano sulle teste delle nuove generazioni che fino a tarda età rischiano di doversi appoggiare al reddito dei genitori. Così la voglia di indipendenza, il desiderio di costruire una famiglia, le ambizioni professionali, giorno dopo giorno si spengono, in balia dell’arte dell’arrangiarsi con espedienti, lavoro nero, precarietà, che a loro volta alimentano i problemi italiani creando un circolo vizioso dal quale è impossibile fuggire se non con misure economiche radicali ed impopolari.

Alla presentazione di Quota 100 il presidente dell’Inps in quota Movimento 5 Stelle annunciava: per ogni lavoratore in pensione, tre giovani saranno assunti. Un anno più tardi si scoprirà che nessun giovane ha cominciato a lavorare grazie a Quota 100. Nel frattempo, l’alternanza Scuola-Lavoro nel 2018 ha subito un taglio per 56 milioni, proprio per finanziare Quota 100. Così, i giovani terminato il percorso di studi sono ancora più distanti dall’esperienza e dalle competenze richieste oggi dal mercato del lavoro, che è in continua evoluzione per merito del progresso tecnologico.

Ciò che ne scaturisce è un quadro desolante, raccontato dal report pubblicato da Unicef lo scorso 10 Ottobre. I NEET (Neither in Employment nor in Education or Training), ovvero i giovani che non lavorano, né studiano o seguono percorsi di formazione, sono il 23,4% di quelli di età compresa fra i 15 e i 29 anni. Non proprio il target di Cicciogamer, per capirci. «L’Italia è infatti al primo posto in Europa per il numero di NEET, seguita con distacco dalla Grecia (19,5%), Bulgaria (18,1%), Romania (17%) e Croazia (15,6%)». Fra luglio e agosto il tasso di disoccupazione italiano è passato dal 9.8% al 9.5%, un leggero calo che «è legato all’aumento degli inattivi: sempre più persone in Italia smettono di cercare lavoro». Gli entusiasmi di Di Maio e co. sono da ridimensionarsi un po’. 

I NEET sono persone che vivono in condizione di disagio ed esclusione sociale, condizioni che in alcuni casi possono portare a casi patologici di depressione e ansia. La condizione di Neet è determinata da disuguaglianze e da contesti familiari, economici e sociali, e da una «sfiducia nelle istituzioni e nel mondo del lavoro convinto da una certa comunicazione e narrazione della realtà che persino studiare non serve a niente».

Quando si dice che i giovani rappresentano la società di domani, sono il futuro, in un certo senso si toglie loro qualcosa. Non si riconosce in pieno che invece essi sono una parte significativa della società odierna.

Una narrazione della realtà spesso promossa anche dalle nostre instituzioni. È il nostro Presidente del Consiglio Conte che a Skuola.net racconta: «Non ho mai aperto un libro di matematica. Pur avendo buoni voti, non ho mai aperto un libro. Facevo gli esercizi al volo a fine lezione». Dichiarazioni assurde e vergognose, che legittimano l’ignoranza. Chissà cosa avrebbe pensato George Orwell.

Ma il disinteresse per le politiche giovanili non è solo cosa di questo governo. Lo viviamo giornalmente nei nostri Comuni, nei quali troppo spesso i sindaci e gli assessori dimenticano l’utilità di politiche giovanili, delegando ad enti esterni, talvolta privi delle necessarie competenze, abbandonandoli a se stessi. «Mentre in Europa i valori dei costi destinati ai giovani oscillano tra 1,50 e il 2,25%, la media dei costi in Italia è pari allo 0,1% delle uscite correnti dei bilanci comunali», si legge ancora nel report Unicef, che aggiunge: «Quando si dice che i giovani rappresentano la società di domani, sono il futuro, in un certo senso si toglie loro qualcosa. Non si riconosce in pieno che invece essi sono una parte significativa della società odierna».

E che non si riconosca che i giovani sono parte significativa della società odierna evince da ogni trasmissione televisiva e dai meme per cinquantenni nei Social Network: i giovani sono solo quelli che giocano ai videogiochi (peggio ancora se violenti), sono dei «bamboccioni» e dei «pecoroni», senza riconoscere le sfumature di una società italiana in declino, che porta a conseguenze spesso devastanti sul futuro e sui sogni di chi già ora vorrebbe entrare a far parte in maniera consistente della società.

Un pensiero riguardo “Giovani e conflitto generazionale: Greta, Cicciogamer e i neet

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